DOVE - Juan Eugenio Ochoa

Assenza presenza luce ombra, questi sono i temi che dominano le tele di Juan Eugenio Ochoa. Atipografia si fa tela, veli trasparenti e indaco intervallano lo spazio come giochi pittorici e lo spettatore diventa presenza. Da qui, Juan Eugenio cambia supporto, la luce è trasparenza, l’ombra colore.


Dal 27/05/2017 Al 16/07/2017

DOVE

Juan Eugenio Ochoa 

dal 27 Maggio fino al 16 luglio 2017

Visitabile tutti i giorni su appuntamento.

Apertura al pubblico sabato e domenica 

dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 16.00 alle 19.00

 

Pittura come attraversamento

Testo di Gabriele Salvaterra

Nella lunga storia che ha visto la pittura accompagnare e commentare dall’esterno lo sviluppo della civiltà umana sono stati diversi i paradigmi e le strategie utilizzati da questo medium per risolvere il suo problema fondamentale: mettere in relazione l’uomo con un’immagine o una visione che gli si para davanti. Ci sono stati i secoli della profondità, della prospettiva e della verosimiglianza ottica, i tempi della verità trascendente nella superficie, nella presenza e nell’icasticità iconica, come anche i tempi del palinsesto, del segno mondano e povero, riportato con noncuranza su una superficie di supporto.

In tutti questi casi, così rapidamente presi in rassegna, riecheggia l’ambizione che era stata anche dei futuristi (“Noi porremo lo spettatore nel centro del quadro”) di abbattere tutte le separazioni tra arte e vita, creando uno spazio di scambio tra spettatore e opera, vuoi facendo uscire l’immagine come presenza nel mondo, vuoi ipotizzando un entrare da parte dell’osservatore nella dimensione dell’immagine.

 

Quella che Juan Eugenio Ochoa (Medellin, Colombia, 1983) pratica da alcuni anni è una pittura che, accettando la complessità di questi approcci possibili, accoglie in sé stimoli provenienti da paradigmi diversi. Nei suoi dipinti si ha l’impressione che figure e materia possano attraversare liberamente il supporto, emergendo o sprofondando continuamente per poi, a un dato istante stabilito dall’autore, fissarsi in un’immagine definitiva che conserva in sé tutto il mistero e l’evanescenza di questo procedimento di continuo celarsi e disvelarsi. Volti del ricordo e tracce di passato raccolti dalla storia personale di Ochoa o dalla nostra memoria collettiva emergono in questa pittura evocativa dove le azioni di affioramento, sprofondamento e attraversamento dell’immagine sono elementi caratterizzanti. 

 

La superficie si fa quindi limen, confine, soglia continuamente percorribile lungo il proprio asse frontale dal flusso iconografico nella quale si impigliano frammenti di realtà che assumono le sembianze di fragili testimonianze di una personale archeologia dell’immagine, fissata sulla tela un attimo prima della sua perdita definitiva. Cadono, in questo modo, le distinzioni tra profondità e superficie, astrazione e figurazione, in un muoversi con competenza da parte dell’artista colombiano tra i moduli dell’immagine e della sua negazione, tra quelli della rappresentazione e della pura astrazione.

 

Nell’intervento realizzato per i locali carichi di storia di Atipografia, guidato dal tema del territorio, si realizza un fecondo incontro di similitudini dove gli elementi di memoria, passato, architettura e paesaggio giungono a un’inaspettata armonia tra intervento d’artista e spazio che lo ospita. In questa recente installazione – intitolata non a caso con un avverbio di luogo: Dove – Ochoa sperimenta la sua pratica su ampi drappi dalle delicate trasparenze, allestiti nell’ambiente per rendere dinamico e processuale, continuamente negoziabile con i movimenti dello spettatore, quel raffinato connubio di affioramenti iconografici, spaziali e temporali che caratterizzano già la sua pittura su supporto tradizionale.

 

L’attraversamento delle immagini sulla superficie-soglia dei quadri di Ochoa torna quindi a essere instabile, mutevole, entrando in dialogo (o collisione) con il carico di memoria che l’archeologia industriale dell’antica Tipografia Dal Molin porta con sé. Il fare pittorico sconfina addirittura nello statuto scultoreo e architettonico, rifiutando la frontalità immacolata del piano del quadro per accettare l’interferenza e la ricchezza offerta dallo spazio reale, percorribile. L’ambiente stesso diventa elemento compositivo di queste opere o, viceversa, le opere stesse si fanno elementi di un grande allestimento spaziale, in modo tale che anche l’occhio e il corpo dello spettatore diventino parte di quella pratica di incessante attraversamento che coinvolge solitamente le immagini di Ochoa.

 

foto di Luca Peruzzi


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