Personale di Mirko Baricchi dal 9 giugno al 17 luglio 2016 negli spazi di Atipografia.
L’anno dell’ epochè non poteva che chiudere con Mirko Baricchi. La carta resa trasparente si apre a più piani pittorici: l’uso della grafite e della tempera separatamente danno una forte sensazione di tridimensionalità. Ci appare un paesaggio surreale, sospeso, dove ci si sente stranamente a proprio agio. Nei colori, quasi primari, e nei segni semplici in grafite riconosciamo forme primitive che si accordano immediatamente, forme archetipe.
By Elena Dal Molin - direttore artistico di Atipografia
By Luca Beatrice
Le grandi superfici dovrebbero per consuetudine porsi sullo sfondo e non essere invadenti, come fanno le pareti o le quinte di fondale; eppure questi nuovi quadri di Mirko Baricchi rompono le righe e il passo, fanno un balzo in avanti ed escono visivamente vittoriosi nella battaglia di ruoli tra background e figura. Il loro colore di terre cocenti, ma soprattutto il rosso incandescente, è protagonista, mentre il disegno deve accontentarsi di una “micro-robustezza”, così mi scrive l’autore, che ne conosce la fragilità , “cancellabile con un nulla” perché nel suo tepore manca della prepotenza che i soggetti forti, e prettamente pittorici, sono soliti avere. Cancellabili sì, ma soltanto con un colpo di spugna, come i segni in gesso su una lavagna, che anche per mesi si stratificano in trasparenze restando evanescenti ricordi su nero. Mirko Baricchi è uno strano regista che taglia il suo montaggio nel bel mezzo di una dissolvenza incrociata tra disegno e pittura, lasciando in sospeso la scomparsa e l’apparizione: un gioco che nessun cineasta metterebbe in atto, perché saprebbe solo interdire la narrazione; un gioco che, invece, qualsiasi bambino troverebbe affascinante, seduto dietro una centralina di montaggio, e vi si soffermerebbe a lungo, rapito dalle tracce che si contendono la visibilità . Con Baricchi, d’altra parte, la narrazione è secondaria: lui è più poetico che prosaico, e il mondo degli adulti non ha ancora raggiunto, definitivamente, il suo lavoro. (...)
Luca Beatrice
By Marco Mioli
Il limite dell’oggetto “tela” è stato affermato più volte nell’ambito delle espressioni del contemporaneo, ma i limiti si sa, a volte nascondono ulteriori punti di partenza per chi sa indagare negli interstizi del possibile. E’ questo il caso di Mirko Baricchi, che partendo da un supporto bidimensionale come la carta, costruisce uno spazio pittorico in cui coesistono agenti atmosferici, segni gestuali a matita e pittura. La carta, utilizzata successivamente per i lavori, viene lasciata maturare all’esterno e trasformata in una superficie capace di assorbire il clima, l’umidità e la pioggia. In questo processo la carta si trasforma, acquisisce trasparenze, cambia colore, affermando una co-partecipazione segreta della natura che viene prima di qualsiasi gesto e di qualsiasi nome.I lavori di Mirko Baricchi sono sospesi tra figurazione e astrazione, tra presenze e assenze, tra forza e debolezza, tra agenti atmosferici e agenti umani, tra chiarezza espositiva e opacità, dispiegati senza sintesi e dunque senza semplificazione alcuna. Nella costruzione dello spazio pittorico vengono messi in scena elementi posti su piani grammaticalmente diversi che creano una narrazione spezzata e discontinua in cui il colore rappresenta l’imprinting visivo primario. Mirko Baricchi lavora la carta su entrambe le superfici, essa viene girata e rigirata su se stessa e inchiodata al muro. I segni di questa “flagellazione” rimangono, affermando una dimensione in cui il gesto ha una propria centralità espressiva. Il risultato è uno spazio eterogeneo che vede nel gesto pittorico l’eterna confessione di segreti latenti, una pittura che porta in sè tocchi, punte di colore, maniera e tradizione, aggrappati fragilmente ad una carta consunta. Qualcosa succede, ma esso è sospeso in un divenire che parte dal primo piano degli elementi pittorici e sfuma in uno spazio di trasparenze indeterminate. Il tempo della pittura, vivace e deciso, il tempo dei fenomeni atmosferici e i processi opachi della grafite coesistono assieme. Questi “episodi” lottano tra uno staccarsi e un aggregarsi, diretti tra ragione e alea in un ricercato equilibrio formale. Ben prima del nome chiamato, indica uno stato arcaico delle cose, un gesto, che sa definire tramite segni, pittura e matericità, un luogo del politeismo contemporaneo.
STEFANO MARIO ZATTI LA FORMA DELLE PAROLE A cura di Robert Phillips e Matilde Nuzzo
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